domenica 28 dicembre 2008

FINALLY



1.

Bisognava solo aspettare.

Ogni giorno mi sono consumata un poco.

Non potevo sopprtare che gli sfiorassero nemmeno un millimetro quadro del corpo che è

anche un po' il mio.

Ci siamo svegliati all'alba di giorni e giorni senza dormire

per parcheggiare in autosilos deserti e camminare nel gelo della mattina ancora settimina.

Per non guardarlo in cuffietta verde, ho letto come un'ossessa.

Dava a tutti del lei mentre a lui toglievano i diritti civili.

La sua dolcezza mi fa male più di qualsisi cattiva notizia

che poi non è arrivata.

Allora ho abbracciato mia madre sulla porta di casa,

i ciclamini erano stati piantati di fresco, il pungitopo sfolgorava nel pomeriggio e il melograno era nudo.

Insomma, tutto come prima.

Solo che io sono invecchiata di 100 anni.

2.

Poi è toccato a me.

Di colpo è arrivato il futuro ed ho dovuto fare le cose del futuro.

Guidare alle 4 e mezza del mattino.

Da sola.

Viaggiare con molti mezzi.

Da sola.

Fare strade e strade che non conoscevo.

Ma siccome mi ero già immaginata tutto innumerevoli volte prima ancora che il futuro arrivasse, ero pronta, ero pronta a qualsiasi cosa.

Ciondolo con la schiena a pezzi e il taier sempre più logoro e grigio.

Mi fermo a mangiare in un posto deserto.

La sporcizia mi ossessiona alla stregua delle zip e delle fessure tra le mattonelle.

Continuo a leggere nell'attesa.

Aspetto ore ed ore perchè nel futuro scopro che c'è ancora l'attesa.

Vivo, faccio le cose come nel copione.

Mi rendo utile a tanti km di distanza.

Faccio le cose che mi hanno detto di fare e sono una giovane vecchia che recita la sua parte nell'universo.

Verso le sette e mezzo della sera, sono stremata, ho finito tutte le parole, messo una decina di firme, stretto una quarantina di mani, sorriso a comando almeno 15 volte, ho avuto paura abbastanza: sono un'adulta.

Recupero la macchina e fanno 16 euro di parcheggio, sbaglio strada e invece che per Brindisi, continuo per Foggia, me ne dispero ma tanto non mi sente nessuno. Torno a casa e non c'è nessuno. Tra due giorni è Natale e siamo tutti da soli sotto il medesimo tetto. Detesto la mia camera da etto. Mettermi a latto. La notte.

3.

E' l'una e mezza del mattino.

Il locale è semideserto.

E' piccolo. Sospesa nel cielo del soffitto c'è una cornucopia di rami secchi che erutta pigne e altre porcherie unitamente e lampadine e palle di natale.

Ho ordinato un S&C che dopo il kebab non ci sta bene ma ne avevo voglia come l'ultima volta che mi ha stupita. Anche quel giorno, S&C.

Ora siamo seduti dallo stessa lato della panca, di spalle al muro, siamo abbracciati, suona un disco di paolo conte e ho conosciuto tutti i suoi amici.

Siamo stanchi, tutte le preghiere sono state esaudite, io ho dato l'ultimo esame, la lente a contatto è come uno spillo nell'occhio destro.

Perchè mi tocca pure essere bella.

2 commenti:

Aboutstripes ha detto...

ti tocca essere strafiga, io direi.

Poems ha detto...

quasi sempre ci tocca aspettare.
l'importante è il modo in cui si attende, non il tempo di attesa.
Poi, oggi, sono molto tranquilla nel pensiero che riusirò ad avere quel che più desidero, un po' aspettando un po' con una politica interventista nemmeno esistesse ancora la prussia.
Mi sarei vista bene con le gonne lunghe fino a terra imbottite sul culo.
invece, mi tocca l'esperienza di diventare magra per non essere guardata schifata dalle commesse con gli stivali e le gambe nude a gennaio