
1.
Bisognava solo aspettare.
Ogni giorno mi sono consumata un poco.
Non potevo sopprtare che gli sfiorassero nemmeno un millimetro quadro del corpo che è
anche un po' il mio.
Ci siamo svegliati all'alba di giorni e giorni senza dormire
per parcheggiare in autosilos deserti e camminare nel gelo della mattina ancora settimina.
Per non guardarlo in cuffietta verde, ho letto come un'ossessa.
Dava a tutti del lei mentre a lui toglievano i diritti civili.
La sua dolcezza mi fa male più di qualsisi cattiva notizia
che poi non è arrivata.
Allora ho abbracciato mia madre sulla porta di casa,
i ciclamini erano stati piantati di fresco, il pungitopo sfolgorava nel pomeriggio e il melograno era nudo.
Insomma, tutto come prima.
Solo che io sono invecchiata di 100 anni.
2.
Poi è toccato a me.
Di colpo è arrivato il futuro ed ho dovuto fare le cose del futuro.
Guidare alle 4 e mezza del mattino.
Da sola.
Viaggiare con molti mezzi.
Da sola.
Fare strade e strade che non conoscevo.
Ma siccome mi ero già immaginata tutto innumerevoli volte prima ancora che il futuro arrivasse, ero pronta, ero pronta a qualsiasi cosa.
Ciondolo con la schiena a pezzi e il taier sempre più logoro e grigio.
Mi fermo a mangiare in un posto deserto.
La sporcizia mi ossessiona alla stregua delle zip e delle fessure tra le mattonelle.
Continuo a leggere nell'attesa.
Aspetto ore ed ore perchè nel futuro scopro che c'è ancora l'attesa.
Vivo, faccio le cose come nel copione.
Mi rendo utile a tanti km di distanza.
Faccio le cose che mi hanno detto di fare e sono una giovane vecchia che recita la sua parte nell'universo.
Verso le sette e mezzo della sera, sono stremata, ho finito tutte le parole, messo una decina di firme, stretto una quarantina di mani, sorriso a comando almeno 15 volte, ho avuto paura abbastanza: sono un'adulta.
Recupero la macchina e fanno 16 euro di parcheggio, sbaglio strada e invece che per Brindisi, continuo per Foggia, me ne dispero ma tanto non mi sente nessuno. Torno a casa e non c'è nessuno. Tra due giorni è Natale e siamo tutti da soli sotto il medesimo tetto. Detesto la mia camera da etto. Mettermi a latto. La notte.
3.
E' l'una e mezza del mattino.
Il locale è semideserto.
E' piccolo. Sospesa nel cielo del soffitto c'è una cornucopia di rami secchi che erutta pigne e altre porcherie unitamente e lampadine e palle di natale.
Ho ordinato un S&C che dopo il kebab non ci sta bene ma ne avevo voglia come l'ultima volta che mi ha stupita. Anche quel giorno, S&C.
Ora siamo seduti dallo stessa lato della panca, di spalle al muro, siamo abbracciati, suona un disco di paolo conte e ho conosciuto tutti i suoi amici.
Siamo stanchi, tutte le preghiere sono state esaudite, io ho dato l'ultimo esame, la lente a contatto è come uno spillo nell'occhio destro.
Perchè mi tocca pure essere bella.